Diffamazione mediante social network

(che non è a mezzo stampa ma aggravata del mezzo di pubblicità)

Un commento offensivo sulla bacheca di Facebook o un Tweet denigratorio possono integrare il reato “diffamazione aggravata per l’uso del “mezzo di pubblicità”. E non a mezzo stampa come erroneamente affermato da diversa dottrina. In realtà per il momento abbiamo un solo caso in Italia di ingiuria via Twitter che verrà discussa a settembre 2015.

Per quel che riguarda Facebook invece le sentenze sono diverse, di cui la più recente è quella della Corte di Cassazione, la n. 24431/2015, che ha stabilito che inserire un commento su una bacheca di un social network comporta la diffusione del messaggio perché potenzialmente ha la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone. Ne deriva che qualora il commento sia offensivo deve ritenersi integrata la fattispecie aggravata del reato di diffamazione.

Si consideri che proprio in queste ore sta per essere definitivamente approvato la nuova legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che aveva iniziato il suo iter a Montecitorio il 4 giugno 2013, che nonostante non sia applicabile ai Social Network deve essere comunque conosciuta bene proprio per evitare confusione.

Alle sopraddette conclusioni la Corte è pervenuta ricordando innanzitutto che i reati di ingiuria e diffamazione possono essere commessi a mezzo di internet (Cass., Sez. V, 17 novembre 2000, n. 4741; Cass., sez. V, 28 ottobre 2011, n.44126 e che quando ciò si verifica si è in presenza di un’ipotesi aggravata della fattispecie base (Cass., Sez. V, 16 ottobre 2012, n. 44980). Quando poi l’offesa avvenga mediante i social network o, come nel caso di specie, su una bacheca facebook, secondo la Corte non vi è ragione per giungere a conclusioni diverse e non solo perché in questo caso vengano utilizzate risorse informatiche.

Infatti, secondo la Cassazione l’ipotesi di reato di cui al terzo comma dell’art. 595 c.p.p. quale fattispecie aggravata del delitto di diffamazione trova il suo fondamento nella potenzialità, nella idoneità e nella capacità del mezzo utilizzato per la consumazione del reato a coinvolgere e raggiungere una pluralità di persone, ancorchè non individuate nello specifico ed apprezzabili soltanto in via potenziale, con ciò cagionando un maggiore e più diffuso danno alla persona offesa.

D’altra parte, continua la Corte, lo strumento principe della fattispecie criminosa in esame è quello della stampa, al quale il codificatore ha giustapposto “qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, giacché anche in questo caso, per definizione, si determina una diffusione dell’offesa ed in tale tipologia, quella appunto del mezzo di pubblicità, la giurisprudenza nel tempo ha fatto rientrare, ad esempio, 1) un pubblico comizio (Cass., sez. V, 28 maggio 1998, n. 9384), 2) l’utilizzo, al fine di inviare un messaggio, della posta elettronica secondo le modalità del forward e cioè verso una pluralità di destinatari, trattandosi anch’esso di mezzo idoneo a provocare una ampia e indiscriminata diffusione della notizia tra un numero indeterminato di persone.

Anche la diffusione di un messaggio con le modalità consentite dall’utilizzo di una bacheca facebook ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, sia perché, per comune esperienza, bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone, sia perché l’utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, “valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”.

Di conseguenza, ritiene la Corte che la condotta di postare un commento sulla bacheca facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione del commento, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dal terzo comma dell’art. 595 c.p.p.

Nonostante come già affermato la sentenza illustrata non riguardi la diffamazione a mezzo stampa ma QUELLA AGGRAVATA DAL MEZZO DELLA PUBBLICITA’ si ritiene utile riportare le novità del PdL che ora deve passare al Senato.

COME CAMBIA LA DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA

Nel Progetto di Legge che ora deve passare al Senato viene eliminata dalla precedente legge sulla stampa (la n. 47 del 1948) la previsione della pena della reclusione. La diffamazione a mezzo stampa (compresa quella delle testate on line) viene punita con la multa da 5.000 a 10.000 euro. In caso di dolo la multa sale da un minimo di 10.000 euro ad un massimo di 50.000 euro e scatta la pena accessoria della pubblicazione della sentenza.

Non sono punibili l’autore dell’offesa o il direttore responsabile che provvedano alla rettifica secondo le modalità previste dalla legge. E’ competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa.

E’ prevista l’Eliminazione del carcere anche in caso di ingiuria (compresa quella on line come nel sopracitato caso che vede come protagonista l’Onorevole Gasparri). Il reato viene invece punito con la multa fino ad un massimo di 5.000 euro. La pena è aumentata fino alla metà qualora l’offesa consista nell’attribuzione di un fatto determinato ovvero sia commessa in presenza di più persone.

Per quel che concerne la RESPONSABILITÀ PENALE DEL DIRETTORE L’articolo 57 del codice penale (reati commessi con il mezzo della stampa, della diffusione radiotelevisiva o con altri mezzi di diffusione) viene modificato specificando che il direttore o vicedirettore responsabile risponde a titolo di colpa se il delitto è conseguenza della violazione dei doveri di vigilanza sul contenuto della pubblicazione.

Vengono disciplinate poi le QUERELE TEMERARIE dove il giudice potrà irrogare una sanzione pecuniaria da 1.000 a 10.000 euro da versare alla cassa delle ammende. La previsione viene inserita nell’articolo 427 del codice di procedura penale sulla condanna del querelante alle spese e ai danni. Nel codice di procedura civile (all’articolo 96 sulla responsabilità aggravata) viene stabilito anche che il giudice, nel rigettare la domanda di risarcimento, può condannare l’attore, oltre che al rimborso delle spese e al risarcimento a favore del convenuto stesso, anche al pagamento in favore di quest’ultimo di una somma determinata in via equitativa, tenendo conto in particolare dell’entità della domanda risarcitoria.

Inoltre, con un modifica al codice di procedura penale viene estesa la disciplina del segreto professionale anche ai giornalisti pubblicisti iscritti al rispettivo albo. Nel corso dell’esame in commissione Giustizia è stato approvato un emendamento per tutelare i giornalisti e i direttori delle testate fallite da eventuali richieste di risarcimento eccessivamente gravose.

L’applicazione della legge sulla stampa (la numero 47 del 1948) viene estesa alle testate giornalistiche on line registrate presso le cancellerie dei tribunali. Estremamente importante è l’OBBLIGO DI RETTIFICA PER TESTATE PERIODICHE

Le dichiarazioni o le rettifiche della persona che si ritenga lesa ‘nella dignità, nell’onore o nella reputazione’, devono essere pubblicate senza commento, senza risposta, senza titolo e con l’indicazione del titolo dell’articolo ritenuto diffamatorio, dell’autore dello stesso e della data di pubblicazione. Questo a meno che le dichiarazioni o le rettifiche non siano suscettibili ‘di incriminazione penale o non siano inequivocabilmente false’ (la precisazione senza commento la dice lunga sulla necessità, prevista dl legislatore, di Più Fatti e Meno Opinioni)

Per le testate giornalistiche on line gli obblighi di pubblicazione della rettifica vanno assolti entro 2 giorni dalla richiesta (come per i quotidiani cartacei), con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia rettificata, in testa all’articolo relativo alla notizia stessa, senza modificarne la Url (Uniform resource locator). Se la testata giornalistica fornisce un servizio di newsletter le dichiarazioni o le rettifiche devoo essere inviate agli utenti che hanno già avuto accesso alla notizia originaria. è indicato o non è imputabile).

Viene prevista una MULTA PER MANCATA RETTIFICA FINO A 16MILA EURO

In caso di inerzia nella pubblicazione della rettifica, l’interessato può rivolgersi al giudice. La sanzione sanzione amministrativa per la mancata o incompleta ottemperanza all’obbligo di rettifica passa dagli attuali 7.746-12.911 euro a 8.000 – 16.000 euro.

Per quel che concerne i CRITERI PER RISARCIMENTO DEL DANNO viene introdotto nella legge sulla stampa il nuovo articolo sul risarcimento del danno. La disposizione prevede che l’azione civile si prescriva in 2 anni e individua dei parametri di cui il giudice deve tenere conto nella quantificazione del danno: la diffusione quantitativa e la rilevanza (nazionale o locale) del mezzo di comunicazione usato per compiere il reato; la gravità dell’offesa; l’effetto riparatorio della pubblicazione o della diffusione della rettifica. Di conseguenza viene abrogato il vecchio articolo 12 della legge 47/1948, in base al quale per la diffamazione a mezzo stampa la persona offesa può chiedere, oltre al risarcimento dei danni, una somma a titolo di riparazione, determinata in relazione alla gravità e alla diffusione dell’offesa.

A cura di Avv. Monica GobbatoCommissario Enti Certificazione per Privacy Officer Digital Champion di Camogli
avv.monicagobbato@gmail.com
Twitter: @MonicaGobbato

Articolo pubblicato sulla rivista ICT Security – Giugno 2015

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