Il crescente ruolo dell’AI in ambito militare: la visione della Russia

L’Intelligenza Artificiale (AI) rappresenta l’archetipo di quelle che vengono definite disruptive technologies: ovvero tecnologie capaci di trasfigurare completamente i contesti su cui intervengono, che in questo caso appaiono innumerevoli e di rilevanza globale.

L’impiego dell’AI ha già rivoluzionato strumenti e strategie nei settori più svariati, dal marketing alla sicurezza pubblica e privata. Tra chi fa ricerca sul tema c’è chi arriva a definirla una nuova forma di potere coloniale, anche in ragione della sua progressiva applicazione a fini di controllo delle frontiere. È proprio in questo senso – soprattutto nel campo militare – che vanno profilandosi le trasformazioni più rilevanti, non di rado potenzialmente deleterie per i diritti delle persone coinvolte.

Applicando i paradigmi dell’Intelligenza Artificiale ai contesti bellici si comprende infatti come il concetto di guerra ibrida riguardi tanto i vari piani (geo-fisico, economico, logistico, informatico) in cui si declinano le ostilità, quanto gli strumenti con cui le guerre contemporanee vengono condotte. Esiste una dimensione sempre più “immateriale” dei conflitti, lontana dal corpo a corpo delle battaglie novecentesche ma non per questo meno incisiva; a farne parte sono le azioni di cyber warfare contro infrastrutture digitali che mostrano quotidianamente il loro potenziale di rischio, come  anche le campagne di propaganda e disinformazione online mirate a orientare il consenso mediatico o elettorale, fondate sull’elaborazione di enormi quantità di dati. L’AI “armata” (weaponized Artificial Intelligence) implica un ulteriore passaggio, che traduce gli effetti del digitale in una dimensione pienamente “fisica”.

Vanno infatti considerate anche le vere e proprie armi a cui l’Intelligenza Artificiale apporta o potrà apportare un potenziamento in chiave di pianificazione strategica ed esecuzione operativa. Non più semplicemente controllo remoto di meccanismi semi-autonomi – il riferimento più immediato è ai droni, presenti sugli scenari bellici sin dagli anni Duemila e oggi sempre più indipendenti nell’individuazione degli obiettivi – o strumenti di analisi e diagnostica per i mezzi militari maggiormente efficaci. Nel prossimo futuro la ricerca pare promettere un livello di automazione tale da consentire a chi controlli la relativa tecnologia forti vantaggi competitivi sul terreno di conflitto, con la possibilità di ridurre le perdite e prevedere in anticipo le mosse avversarie. Naturalmente gestire tali strumenti e le immense quantità di dati necessarie ad alimentarli implica rischi esponenziali, nel caso in cui il nemico riesca ad entrarne in possesso.

Il tema, ancora in divenire, delle cosiddette Lethal Autonomous Weapons Systems o LAWS è già stato oggetto dei primi tentativi di regolamentazione internazionale tesi a includere questa tecnologia emergente nella cornice dei principi generali del diritto umanitario. Fra le regole individuate dal Gruppo di esperti in materia (comprensivo di rappresentanti dei governi, ricercatori e imprenditori dell’AI) riunitosi a Ginevra nel 2017 spicca inoltre la necessità di garantire cybersecurity e accountability dei sistemi, oltre al connesso divieto di mantenere la responsabilità decisionale a livello umano anziché delegarla a procedure automatizzate.

La presa di parola degli organismi sovranazionali muove, d’altronde, dalla consapevolezza che da anni numerose potenze statali destinano ingenti investimenti a esplorare le possibili applicazioni dell’AI al comparto militare.

Tra queste notoriamente la Russia, il cui governo non fa mistero del proprio interesse per queste tecnologie. Ma se in Europa e USA la ricerca in materia avviene per lo più a livello accademico e nell’industria privata, a Mosca (come pure a Pechino) l’Intelligenza Artificiale è un affare di Stato: gran parte degli sviluppi in campo di automazione e robotica provengono da aziende pubbliche o comunque facenti capo al Ministero della Difesa, con tanto di istituti bancari dedicati. Tra i filoni destinatari dei maggiori investimenti risultano la modernizzazione e la riorganizzazione di un apparato bellico – nei domini terrestri, marittimi, aerei, spaziali – in alcuni casi datato all’epoca sovietica.

Da un lato quindi è chiara l’esigenza di “svecchiare” il comparto militare, anche in considerazione dei molteplici fronti di guerra aperti dall’aggressiva politica estera del Cremlino; dall’altra appare forte la volontà di proseguire la tradizionale attenzione russa all’innovazione tecnologica, già evidente ai tempi della Guerra Fredda, nonché di tenere il passo nella corsa internazionale agli armamenti (digitali) che vede negli sviluppi futuribili dell’AI uno degli obiettivi più ambiziosi. La Russia si è dichiarata contraria a imporre limiti condivisi alla ricerca sulle LAWS, come del resto anche gli USA.

Analogamente a ogni altra tecnologia dual-use, l’impiego di strumenti dotati di Intelligenza Artificiale include certamente prospettive “benefiche”: è il caso dei dispositivi volti all’esplorazione dei luoghi per prevenire vittime civili, o dei robot dedicati alle operazioni di sminamento post-belliche. Ma resta chiaro il potenziale distruttivo di armi ipoteticamente slegate da ogni controllo e valutazione umana, specie ove unito alla frequente opacità delle tecnologie (qui ulteriormente rafforzata dal segreto militare) e alla possibile creazione di nuove vulnerabilità in contesti altamente critici.

Rischi severi, tali da imporre regole condivise e una puntuale analisi di tutti i rischi prima di poter consentire un’inclusione di questi strumenti fra i mezzi legittimamente impiegati nelle controversie internazionali.

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