Per quanto Internet nasca come spazio di libertà, negli ultimi decenni lo sviluppo della tecnologia ha sdoganato anche inedite e preoccupanti modalità di profilazione degli utenti, nonché di controllo e repressione del dissenso.
A confermarlo è un report recentemente pubblicato dal Consiglio per i diritti umani dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in cui si evidenzia come l’uso massiccio di strumenti di sorveglianza e monitoraggio digitale costituisca un serio rischio per la libera espressione (non soltanto sul web).
In particolare, l’analisi dell’ONU si concentra su tre fattori:
Nello scenario descritto – che richiama tra gli altri il caso del malware Pegasus – il ricorso a software mirati a controllare le attività di personaggi “scomodi” sarebbe infatti sempre più diffuso, non solo da parte di governi autoritari ma altresì nelle democrazie occidentali. E nella stessa direzione vanno le varie restrizioni imposte sull’uso della crittografia le quali, pur generalmente motivate da scopi condivisibili come la lotta al terrorismo o alla pedopornografia online, finiscono per colpire anche l’impiego legittimo della cifratura a protezione di comunicazioni riservate o dati sensibili.
L’ultimo e più ampio degli ambiti esaminati riguarda il monitoraggio degli spazi pubblici online e offline. Al riguardo si mettono in luce i rischi connessi a forme di videosorveglianza sempre più capillari e pervasive, anche grazie ai nuovi livelli di video analytics abilitati dall’Intelligenza Artificiale, soprattutto nel tanto celebrato modello delle Smart Cities; senza tralasciare i potenziali impatti sui diritti umani legati alla raccolta di dati biometrici o alla profilazione di massa degli utenti ad opera delle Big Tech private.
Un quadro complesso rispetto al quale, nelle raccomandazioni finali del report, l’ONU torna a invocare trasparenza e leale collaborazione tra Stati per assicurare la rispondenza di strumenti, normative e misure adottate al principio internazionale della human rights due diligence.
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