Pornografia non consensuale e revenge porn in Italia

Pornografia non consensuale e revenge porn

Questo articolo fa parte di una serie in cui Marta Zeroni analizza il tema della sovraesposizione e controllo dei dati digitali nel mondo contemporaneo. In particolare, l’articolo seguente si focalizza sul tema della pornografia non consensuale e sul fenomeno del revenge porn. L’articolo sottolinea l’importanza di utilizzare la terminologia corretta per evitare una narrazione fuorviante del fenomeno e analizza le problematiche legate alla sua diffusione e al difficile controllo dei contenuti online, evidenziando le gravi conseguenze psicologiche e sociali per le vittime.

Se in tema di sharenting e tutela dei minori online si lamenta talora un vuoto normativo [1], lo stesso non può dirsi per la questione della diffusione di contenuti sessualmente espliciti senza il consenso degli interessati, entrata nel Codice Penale (tra i delitti contro la libertà morale) con il cosiddetto pacchetto di norme “Codice Rosso” del 2019.

Revenge porn e pornografia non consensuale: le differenze terminologiche

Nel linguaggio comune, per far riferimento al reato dell’art. 612-ter, si parla in genere indiscriminatamente di “revenge porn[2]. Ma su tale terminologia è bene sin da ora fare chiarezza: tenendo conto della rubrìca della norma (“Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”), sarebbe forse più corretto preferire “pornografia non consensuale”[3]; mentre gran parte della letteratura scientifica adotta la locuzione “condivisione non consensuale di materiale intimo” (IBSA, Image-Based Sexual Abuse) [4].

Revenge porn costituisce infatti solo un sottoinsieme delle ben più numerose e sfaccettate condotte lesive della riservatezza sessuale di cui alla norma del 2019, e pertanto il suo utilizzo come termine “ombrello” rischia di favorire una narrazione parziale e ingannevole del fenomeno.

Revenge porn: una terminologia fuorviante per la diffusione illecita di immagini

In primis, la semantica sembra suggerire l’esistenza e la rilevanza di un presunto torto perpetrato ab origine da parte della vittima [5]; pone, in altre parole, l’accento sulla causa (penalmente irrilevante) della condotta anziché sulla condotta stessa [6].

Trattasi invero di un’atipicità lessicale rispetto alla quale non sovvengono termini di paragone in ambito criminologico se non, forse, quello dell’espressione “delitto d’onore”. Non sempre, peraltro, la “vendetta” sussiste: nel sondaggio della Cyber Civil Rights Initiative del 2017, il 79% di coloro che avevano condiviso pornografia non consensuale ha dichiarato di non considerare tra le proprie motivazioni la volontà di danneggiare la vittima [7].

Pornografia non consensuale aggravata dal mezzo informatico e responsabilità legali

In secondo luogo, contestualizzare in tal modo il reato significherebbe ridurlo, almeno nella percezione comune, a una dimensione monotematica e quasi esclusivamente interna alla relazione di coppia [8], privando di attenzione quanto esuli da tale narrativa e, d’altro canto, disconoscendo il ruolo cruciale che in tale reato possono giocare, a vario titolo, soggetti privi di relazione con la vittima in particolare nella (più comune) forma di pornografia non consensuale aggravata dal mezzo informatico [9].

La distinzione tra dolo generico e dolo specifico

Giuridicamente, tuttavia, non è neppure corretto affermare che il contesto ed il fine che sorreggono le condotte in parola non rilevino, giacché, al netto delle aggravanti, la fattispecie di cui all’art. 612-ter è strutturata in due ipotesi, sanzionate nella stessa misura ma richiedenti due diverse valutazioni dell’elemento soggettivo in capo all’agente.

Nella circostanza delineata dal primo comma – “chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito…” – dovrà essere accertato il solo dolo generico, ossia la coscienza e volontà degli elementi del fatto tipico, a nulla rilevando qualunque ulteriore elemento che possa informare e direzionare l’agente verso un determinato fine od obiettivo (ad esempio la revenge, considerata come finalità anziché come causa).

Il secondo comma si riferisce invece ai “distributori successivi”, che pur non coinvolti in prima persona nella realizzazione o nella sottrazione dei contenuti ne siano venuti altrimenti in possesso, ad esempio avendoli reperiti online od ottenuti da altri (tra cui il soggetto del primo comma).

La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recar loro nocumento.

Costoro sarebbero pertanto punibili ai sensi dell’art. 612-ter comma 2 esclusivamente nella misura in cui possa essere accertato il dolo specifico, ravvisandosi la finalità di arrecare danno alla persona rappresentata nelle foto o nei video [10].

Si è già avuto modo di accennare che la maggior parte dei casi di pornografia non consensuale avviene per scopi anche molto diversi dal quella di procurare detrimento alla vittima.

Si consideri, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo: lo scambio di immagini all’interno di un gruppo di amici, per scherzo o per fare sfoggio del partner; la minaccia della diffusione per estorcere alla vittima determinati comportamenti o altri contenuti intimi; la pubblicazione su determinate piattaforme per conseguire un vantaggio economico dalle visualizzazioni [11].

Peraltro, nella maggior parte dei casi il materiale oggetto di diffusione non è raccolto o sottratto dal diffusore, ma ricevuto da questi direttamente dalla stessa vittima [12].

Alla luce di quanto sopra, risulta tutto sommato giustificato il timore che una serie di condotte tutt’altro che rare [13] rimangano escluse dal raggio di tutela dell’art. 612-ter. Ci si chiede, ad esempio, se così formulata tale norma avrebbe potuto essere di qualche aiuto nel noto caso Cantone – che pure ne ha ispirato in modo decisivo l’adozione [14] – tenuto conto della ricostruzione secondo la quale le immagini sarebbero state inviate ai diffusori direttamente dalla vittima [15].

“Devastating impact”: i danni psicologici e reputazionali per le vittime di pornografia non consensuale

La vicenda Cantone ci insegna come siano proprio le attività degli ulteriori distributori – a prescindere da qualunque valutazione sull’elemento soggettivo – a determinare la viralità dei contenuti e di conseguenza l’impatto sulla vittima in termini di danno morale (reputazionale e psicologico).

Senza alcuna pretesa di esaustività, si richiama il report reso al Parlamento Australiano dall’organizzazione no-profit Sexual Assault Support Service, che parla di devastating impact, prospettando, tra l’altro, cambiamenti del comportamento, ritiro dalle interazioni e dalle relazioni sociali, possibili danni reputazionali nella sfera sociale e lavorativa. Un’analisi della letteratura sulle banche dati cliniche internazionali nel periodo 2016-2021 ha inoltre evidenziato conseguenze severe sulla salute mentale, con insorgenza di ansia, depressione, disturbo da stress post-traumatico [16].

Tra le vittime sarebbe inoltre piuttosto comune l’ideazione suicida [17], come ormai tristemente noto dalla cronaca – si suicidarono la già citata Tiziana Cantone [18] ma anche Belén San Román [19], e molti sono i tentativi [20].

Doxxing: l’aggravante della diffusione di informazioni personali

Non è raro peraltro che contestualmente al materiale intimo vengano diffuse anche le informazioni personali della vittima – tra cui nome e cognome, recapiti, riferimenti social, talvolta persino indirizzo e luogo di lavoro. È la pratica chiamata doxxing, che, com’è ovvio, comporta conseguenze esponenzialmente più concrete, e non solo reputazionali e psicologiche, potendo esporre la vittima ad ulteriori reati quali atti persecutori, violenza sessuale e molestie [21].

La dottrina ha correttamente parlato di “irrimediabilità del danno” conseguente alla diffusione dei materiali [22]. Basti pensare che, nel 2022, per ben due volte un video esplicito di Cantone è ricomparso online, persino dopo la faticosa opera di rimozione commissionata dalla madre della vittima ad una società specializzata [23].

Rimuovere tali contenuti, infatti, è tutt’altro che semplice, e spesso gli strumenti previsti dalle norme vengono in aiuto solo parzialmente.

Intervento del Garante per la protezione dei dati: l’articolo 144-bis

Nel 2021, il decreto-legge n. 139 ha introdotto l’art. 144-bis con il quale i poteri del Garante per la protezione dei dati si sono allargati sino a ricomprendere anche la tutela delle vittime della pornografia non consensuale. Si noti, però, che le casistiche aventi rilevanza per il Garante divergono da quelli disciplinati dal Codice Penale, configurandosi così una sorta di divaricazione tra le fattispecie.

Per un verso la tutela della vittima risulta ampliata rispetto al perimetro dell’art. 612-ter, a cui l’art. 144-bis non a caso neppure fa riferimento: evidentemente la valutazione penalistica dell’elemento soggettivo non rileva nel caso in parola.

Inoltre, l’intervento del Garante può essere richiesto non solo per foto e video (oggetto dell’art. 612-ter), ma più in generale per qualsiasi “documento informatico a contenuto sessualmente esplicito”, comprese le registrazioni audio; l’interessato può altresì attivare la segnalazione anche in caso di “pericolo”, qualora abbia fondato motivo di ritenere che i contenuti espliciti che lo riguardano possano essere disseminati senza il suo consenso.

Comprensibilmente, la segnalazione può essere inoltrata solo con riferimento alla diffusione (effettiva o temuta) sulle piattaforme digitali, rispetto alle quali il Garante vanta già una fisiologica competenza e familiarità in forza della normativa sulla protezione dei dati.

I limiti dell’art. 144-bis, così come quelli di qualsiasi forma di tutela – pubblica o privata –, sono soprattutto di ordine operativo.

Nelle 48 ore di tempo a disposizione del Garante per attivarsi a fronte della segnalazione – o nel breve lasso di tempo che dovrebbe impiegare la polizia giudiziaria per riferire al p.m. la notitia criminis dell’art. 612-ter [24] – un contenuto online può essere replicato, raccolto da algoritmi di web scraping e ripubblicato altrove, raccolto e riproposto da aggregatori di contenuti, modificato e riadattato, anche ma anche salvato offline, scambiato tra singoli utenti, inoltrato in gruppi più o meno ristretti di utenti, e così via, fino a diventare – nel peggiore dei casi – virale [25].

Tecnologie di prevenzione: funzione di hash e collaborazioni con le piattaforme

Per far fronte a simili dinamiche, il Garante ricorre allo strumento della funzione di hash, in collaborazione con Meta. Quest’ultima già nel 2019, in collaborazione con l’associazione di promozione sociale Permesso Negato, aveva avviato il programma di supporto alle vittime Not Without My Consent basato sulla medesima tecnologia.

Per l’immagine di cui si desidera bloccare la diffusione – che, si specifica, deve essere fornita dal segnalante a Meta o al Garante – viene calcolato il codice di hash, una stringa di caratteri univoca basata sul contenuto informativo dell’immagine stessa, successivamente raffrontato con gli hash esistenti nel database della piattaforma, cercando l’eventuale match.

Della stessa procedura si avvale StopNCII.org, partner di Permesso Negato. Il portale, gestito dalla non-profit Revenge Porn Helpline, condivide il codice univoco con le piattaforme con le quali collabora – tra cui Meta, MindGeek [26], Reddit, Only Fans e TikTok – al fine di assicurare un monitoraggio costante online, anche in ottica di prevenzione[27].

Questo metodo, tuttavia, non è privo di punti deboli: data la stretta correlazione tra la funzione di hash ed il contenuto informativo dell’immagine a cui si riferisce, è sufficiente una piccola modifica dell’immagine stessa (il semplice ritaglio, la modifica della risoluzione o l’applicazione di un filtro) per modificarne il codice, impedendo di trovare la corrispondenza all’interno del database di riferimento.

Inoltre le piattaforme social o quelle dedicate allo sharing sono solo una parte del problema.

Il ruolo problematico di Telegram nella diffusione della pornografia non consensuale

I dati pubblicati annualmente da Permesso Negato a partire dal 2020 mostrano un’escalation dell’utilizzo di gruppi e canali Telegram per la condivisione di materiale pornografico (e talora pedopornografico) non consensuale.

In particolare, nel contesto dell’attività dell’associazione vengono monitorati 147 gruppi e canali, all’interno dei quali nel 2023 risultano attivi più di 16 milioni di utenti non unici [28] che hanno condiviso più di 6 milioni di contenuti.

Il largo utilizzo di Telegram per finalità simili è stato rilevato da più parti [29] ed è presto spiegato.

In primis, l’utente può iscriversi in modo totalmente anonimo, senza dover conferire neppure il numero di cellulare. Telegram, inoltre, permette la creazione di gruppi fino a 100.000 utenti e di canali di trasmissione che possono essere gestiti da bot, rendendo così ancor più complicata l’identificazione del divulgatore.

Nei gruppi vengono condivise immagini, video o link ad altre piattaforme, oppure gli utenti si propongono per scambiare materiale, magari avviando la modalità di conversazione segreta – non disponibile per gruppi e canali – che protegge i due utenti mediante crittografia end-to-end. Infine, l’azienda, con sede negli Emirati Arabi, rifiuta sistematicamente di collaborare con istituzioni e forze dell’ordine per rimuovere contenuti illegali (non solo strettamente legati al c.d. revenge porn).

Il diritto all’oblio

Nel panorama brevemente descritto, l’eradicazione di ogni singola occorrenza di pornografia non consensuale disseminata online risulta un’impresa titanica, simile al tentativo di tagliare le teste di un’idra. Esercitare efficacemente il diritto all’oblio, alla prova dei fatti, è quasi impraticabile – nonostante la collaborazione più o meno fattiva delle maggiori piattaforme –, e la più basilare ed essenziale pretesa di controllo dei dati personali da parte della vittima è un concetto puramente teorico.

Internet never forgets è un mito che è stato sfatato soltanto in parte [30]. Almeno in determinate fattispecie, l’offensività nella sua dimensione online può diventare un fatto permanente, irreparabile, dagli impatti sin troppo concreti.

Il prossimo articolo esplorerà il fenomeno della sovraesposizione online da una prospettiva diversa, concentrandosi su coloro che sfruttano proattivamente la natura iper-pubblica delle informazioni per scopi specifici. L’articolo esaminerà come le tecniche dell’Open Source Intelligence (OSINT) vengano applicate. Per approfondire ulteriormente questo tema cruciale, vi invitiamo a scaricare il white paper di Marta Zeroni “Sovraesposizione e controllo sui dati personali nell’ecosistema informativo online” che fornisce un’analisi dettagliata sull’argomento.

Note:

[1] LAVORGNA A., TARTINI M., op. cit., p. 69. Nell’ambito dei social media le autrici auspicano l’adozione di strumenti di tutela e di forme di autoregolamentazione analoghi alla Carta di Treviso, messa a punto nel 1990 e poi rivista nel 2006 e nel 2021 dall’Ordine dei Giornalisti.

[2] Secondo Caletti, il neologismo potrebbe essere stato codificato per la prima volta nel 2007 da parte degli utenti contributor del dizionario online Urban Dictionary, in risposta al crescente successo di piattaforme dedicate al revenge porn. CALETTI G. M., “Revenge porn” e tutela penale. Prime riflessioni sulla criminalizzazione specifica della pornografia non consensuale in Diritto Penale Contemporaneo, 3, 2018, p. 69.

[3] CALETTI G. M., op. cit., 2018, p. 73.

[4] MCGLYNN C., RACKLEY E., Image-Based Sexual Abuse in Oxford Journal of Legal Studies, 3, 2017, p. 544.

[5] TORRISI C., Perché non dovremmo chiamarlo “revenge porn” (Valigia Blu) ultimo accesso il 9 febbraio 2024. A proposito di victim blaming, McGlynn e Rackley ritengono che anche il riferimento alla pornografia possa suggerire del biasimo (motivo per cui ritengono preferibile la terminologia “abuso sessuale basato sulle immagini”)

MCGLYNN C., RACKLEY E., ibidem. Sul tema pone l’attenzione anche il Sexual Assault Support Service, chiamato a prendere un parere dal Parlamento Australiano: “It is common for victims of sexual offences and domestic abuse to be blamed or seen as culpable for what has happened to them. This is very true for victims of revenge porn.”: LEGAL AND CONSTITUTIONAL AFFAIRS REFERENCES COMMITTEE, Phenomenon Colloquially Referred to as ‘Revenge Porn’ (Commonwealth of Australia) ultimo accesso in data 13 febbraio 2023.

[6] CALETTI G. M., ibidem.

[7] GONZALES M., Nonconsensual Porn: A Common Offense (Cyber Civil Rights Initiative). Ultimo accesso il 10 febbraio 2024.

[8] È bene ricordare, in ogni caso, che la relazione affettiva con la vittima costituisce un’aggravante del reato ai sensi dell’art. 612-ter comma 3 (revenge porn in senso stretto).

[9] Evidente il reato può realizzarsi – e si è realizzato, ante litteram – anche in assenza del mezzo informatico di cui al comma 3. In merito, si noti che la Cassazione penale, Sez. III, n. 4386 del 13/02/2019 ha escluso l’aggravante del mezzo informatico in un caso di diffusione di pornografia non consensuale via MMS da un telefono cellulare non connesso ad internet e ad un numero limitato di destinatari; così anche nel caso della pubblicazione su sito web non accessibile al pubblico (Cassazione penale, Sez. III, n. 12425 del 14/03/2013).

[10] La normativa italiana non è l’unica a prevedere il dolo specifico; così anche la legislazione inglese, che richiede quale elemento costitutivo del reato la volontà dell’agente di causare distress o imbarazzo alla vittima. Revenge Porn (GOV.UK). Ultimo accesso in data 13 febbraio 2023.

[11] CALETTI, op. cit., 2018, p. 71.

[12] È il caso di foto o video self-taken inviati con strumenti di messagistica istantanea (c.d. sexting). Lovers Beware: Scorned Exes May Share Intimate Data and Images Online (Business Wire). Ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[13] Per un’analisi campionaria in materia pornografia non consensuale in Italia, si faccia riferimento alla ricerca di Permesso Negato APS, principale associazione per la tutela delle vittime a livello europeo, e di Matteo Flora: Revenge Porn Research | Maggio 2020. Analisi campionaria del fenomeno della pornografia non consensuale e del percepito degli italiani sul tema. (Permesso Negato)
ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[14] CALETTI G.M., “Revenge porn”. Prime considerazioni in vista dell’introduzione dell’art. 612-ter c.p.: una fattispecie “esemplare”, ma davvero efficace? (Diritto Penale Contemporaneo). Ultimo accesso in data 13 febbraio 2023.

[15] Non è del tutto chiaro, in ogni caso, quale sia stata l’effettiva volontarietà della diffusione dei video da parte di Cantone: FACCI F., Storia di Tiziana Cantone (Il Post). Ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[16] VERONICA V., DI GIACOMO D., Implicazioni psicologiche del fenomeno del revenge porn: prospettive cliniche in Rivista di Psichiatria, 57, 2022, p. 14-16.

[17] ANKEL S., Many revenge porn victims consider suicide – why aren’t schools doing more to stop it? (The Guardian). Ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[18] Il caso di Tiziana Cantone si è chiuso definitivamente nel gennaio 2024, con l’archiviazione del fascicolo per omicidio a carico di ignoti. DEL PORTO D., Tiziana Cantone, fu suicidio: archiviato il fascicolo con l’ipotesi di omicidio (Repubblica)ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[19] OLIVA L., Ley Belén: quién era la mujer que se suicidó después de que se difundiera material íntimo sin su consentimiento (La Nación) ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[20] Si riporta il recente caso di una tredicenne di Roma che ha tentato di togliersi la vita dopo che il fidanzato ha diffuso le foto ed i video che lei gli aveva inviato. DE SANTIS G., Roma, tenta il suicidio a 13 anni: inchiesta sul revenge porn (Corriere della Sera) ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[21] MCGLYNN C., RACKLEY E., op. cit.

[22] Così CALETTI G. M., op. cit. p. 89.

[23] COVIELLO M., Tiziana Cantone, un suo video privato torna online (Vanity Fair Italia) ultimo accesso in data 14 febbraio 2023.

[24] A meno che la notizia appaia manifestamente infondata, l’obbligo di riferire dovrebbe essere immediato (SORGATO A., et al, Revenge porn. Aspetti giuridici, informatici e psicologici. Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, pp. 115-116); ciononostante, Permesso Negato ha denunciato, nel suo report annuale 2022, un disinteresse da parte degli inquirenti. Permessonegato.it presenta State of Revenge. Edizione 2022 (Permesso Negato) ultimo accesso il 14 febbraio 2023.

[25] Anche in questo il caso Cantone è stato purtroppo emblematico: i video hanno acquisito una tale viralità da uscire dal circuito dei siti di revenge e diventare un c.d. meme, arrivando a comparire su gadget, oggettistica e canzoni pop. FACCI F., art. cit.

[26] MindGeek è la società proprietaria dei maggiori siti web per adulti.

[27] StopNCII.org ultimo accesso il 14 febbraio 2023.

[28] Il termine “utenti non unici” rappresenta il conteggio di ogni membro all’interno di gruppi monitorati. Un singolo utente può essere contato più di una volta qualora fosse presente all’interno di più gruppi. Il report completo è disponibile sul sito ufficiale dell’associazione. Permesso Negato presenta IBSA 2023 Report (Permesso Negato) ultimo accesso il 15 febbraio 2023.

[29] FONTANA S., Dentro il più grande network italiano di revenge porn, su Telegram (Wired Italia); KRAUS R., Telegram’s massive revenge porn problem has made these women’s lives hell (Mashable) ultimo accesso il 15 febbraio 2023.

[30] DREYER S., Myth #46: The Internet never forgets. (Internet Governance Forum Berlin) ultimo accesso il 15 febbraio 2023.

Profilo Autore

Consulente Privacy e IT Law, auditor, Data Protection Officer e formatrice in materia di protezione dei dati personali e società digitale. Laureata magistrale in giurisprudenza all'Università degli Studi di Padova, con perfezionamento in criminalità informatica e investigazioni digitali alla Statale di Milano e master di secondo livello in Informatica Giuridica presso La Sapienza di Roma.

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