Supply chain resilienti e sostenibili: il ruolo strategico dell’economia circolare
Uno studio empirico sulle imprese italiane rivela come le pratiche circolari possano rafforzare la capacità di risposta alle disruption
Il nuovo paradigma della resilienza sostenibile
Le catene di approvvigionamento globali si trovano oggi ad affrontare sfide senza precedenti. La crescente complessità delle filiere produttive, unita a un contesto geopolitico ed economico sempre più instabile, ha reso le imprese particolarmente vulnerabili a eventi dirompenti capaci di compromettere l’intera continuità operativa. A questa realtà si aggiunge una pressione crescente verso modelli di produzione e consumo più sostenibili, che impongono alle aziende di ripensare radicalmente le proprie strategie.
Di questi temi ha parlato Roberta Pellegrino, docente di Risk management e Controllo di gestione al Politecnico di Bari, nel corso del suo intervento al 23° Forum ICT Security, intitolato “La resilienza delle catene di approvvigionamento e il ruolo dell’economia circolare nella gestione delle supply chain disruptions“. L’esperta ha presentato i risultati di due indagini empiriche condotte su imprese italiane tra il 2021 e il 2023, offrendo una prospettiva inedita sul rapporto tra sostenibilità e capacità di recupero delle filiere produttive.
Un contesto di crescente vulnerabilità
Le supply chain moderne sono divenute strutture sempre più globali e complesse, esposte a tipologie di rischio eterogenee i cui impatti si propagano sia a monte (upstream) sia a valle (downstream) della catena del valore. La natura di questi impatti varia significativamente in funzione del settore industriale, della configurazione del network, delle tecnologie impiegate e della tipologia di prodotto.
“La risposta a questo tipo di eventi richiede oggi più che mai non soltanto la capacità di ridurre gli effetti delle disruption e incrementare la resilienza, ma di farlo in maniera sostenibile, nel rispetto delle componenti ambientali e sociali”
Proprio da questa esigenza nasce l’interesse della ricercatrice verso il paradigma dell’economia circolare come possibile driver di resilienza. La letteratura scientifica, pur avendo ampiamente studiato il tema della supply chain resilience, ha dedicato finora scarsa attenzione all’intersezione tra resilienza e sostenibilità, lasciando aperta una domanda cruciale: possono le pratiche di economia circolare rappresentare una risposta efficace alle crisi che colpiscono le filiere produttive?
Prima indagine: l’esperienza del Covid-19
La prima ricerca, condotta tra il 2021 e il 2022, ha analizzato come le imprese italiane abbiano risposto alla disruption pandemica, una delle più severe mai affrontate dal sistema economico globale. L’obiettivo era comprendere quali capability – ovvero capacità strategiche – le aziende abbiano effettivamente messo in campo per fronteggiare gli impatti e raggiungere la resilienza, e quale ruolo abbiano giocato le tecnologie digitali in questo processo.
Il gruppo di ricerca ha sviluppato un framework concettuale che mette in relazione gli impatti delle disruption con la resilienza della supply chain, mediata da quattro capability fondamentali: flessibilità, agilità, reattività ed efficienza. A queste si aggiunge il ruolo delle risorse tecnologiche digitali, ipotizzate come fattore sia diretto sia indiretto di resilienza.
Una metodologia rigorosa
L’indagine si è basata su un questionario strutturato, somministrato a un campione di 1.250 piccole e medie imprese italiane. Le 164 risposte valide raccolte – pari a un tasso di risposta del 13%, statisticamente significativo – hanno coperto settori diversi, prevalentemente manifatturieri, e aziende di differenti dimensioni. I dati sono stati analizzati mediante tecniche di statistica descrittiva e modelli di equazioni strutturali (PLS-SEM).

Gli impatti percepiti e le strategie di risposta
I risultati hanno evidenziato che gli impatti più severi percepiti dalle imprese sono stati: l’aumento dei prezzi delle materie prime, i ritardi nelle consegne, le variazioni imprevedibili della domanda e, sul fronte finanziario, l’incremento dei costi operativi e la contrazione dei margini di profitto. Di fronte a queste sfide, le aziende hanno adottato un portafoglio diversificato di strategie, combinando approcci di flessibilità nella gestione dei fornitori, agilità operativa, reattività e controllo dei costi.
Tuttavia, l’analisi statistica ha rivelato risultati in parte sorprendenti. Non tutte le capability impiegate si sono dimostrate ugualmente efficaci nel favorire la resilienza. Nel campione analizzato, sono state le strategie di efficienza – quelle più orientate al contenimento dei costi nel breve periodo – a mostrare un impatto positivo significativo sulla capacità di recupero delle imprese.
“Agilità e reattività sono state ampiamente utilizzate dalle imprese, ma non vengono percepite come strategie in grado di accrescerne la resilienza. Probabilmente, di fronte a una disruption così rapida, le aziende hanno privilegiato azioni di breve termine piuttosto che avere il tempo di percepire il mercato e reagire di conseguenza”

Il ruolo delle tecnologie digitali: un effetto indiretto
Un altro risultato degno di nota riguarda il ruolo della digitalizzazione. Contrariamente a quanto si potrebbe ipotizzare, le risorse tecnologiche non mostrano un impatto diretto sulla resilienza delle imprese. Le aziende non percepiscono le tecnologie digitali come capaci, da sole, di accrescere la capacità di risposta alle crisi.
L’effetto delle tecnologie diventa invece significativo quando è mediato dagli investimenti in altre capability. In altre parole, la digitalizzazione funziona come fattore abilitante: potenzia l’efficacia delle strategie aziendali, ma non le sostituisce. Questo suggerisce che gli investimenti tecnologici, per essere realmente efficaci in termini di resilienza, devono essere accompagnati da un parallelo sviluppo delle capacità organizzative e strategiche.
Seconda indagine: economia circolare e resilienza
La seconda ricerca, condotta tra settembre e dicembre 2023, ha spostato il focus sull’economia circolare, indagando se l’adozione di pratiche sostenibili – come riciclo, recupero, riutilizzo e ri-manifattura – possa effettivamente contribuire alla resilienza delle imprese e al miglioramento delle loro performance.
Il modello concettuale sviluppato dal team di ricerca ipotizza che l’economia circolare possa avere un impatto positivo su tre dimensioni delle performance aziendali – di business, ambientali e finanziarie – oltre che sulla resilienza della supply chain. In questo quadro, il rischio di approvvigionamento (supply risk) agisce come moderatore: quanto maggiore e l’esposizione ai rischi di fornitura, tanto più forte dovrebbe essere l’effetto positivo delle pratiche circolari sulla resilienza.

I risultati: conferme e sorprese
Il questionario è stato somministrato a circa 1.000 imprese italiane impegnate in pratiche di economia circolare, raccogliendo 125 risposte valide (tasso di risposta del 12%). I risultati confermano alcune ipotesi e ne smentiscono altre, offrendo un quadro articolato e ricco di implicazioni per il management.
In primo luogo, le imprese intervistate percepiscono un impatto positivo degli investimenti in economia circolare sulla resilienza. Questo effetto risulta tanto più marcato quanto maggiore è l’esposizione dell’azienda ai rischi di approvvigionamento: in contesti caratterizzati da elevata vulnerabilità delle forniture, le pratiche circolari si rivelano particolarmente efficaci nel rafforzare la capacità di risposta alle crisi.
Sul fronte delle performance, l’economia circolare mostra un effetto diretto significativo solo sulle performance di business – misurate attraverso indicatori come crescita delle vendite, reputazione aziendale e soddisfazione del cliente. Non emerge invece un effetto diretto sulle performance finanziarie, probabilmente perché l’economia circolare richiede investimenti iniziali che ne attenuano l’impatto economico immediato. Tuttavia, la resilienza agisce come meccanismo di mediazione: le imprese che investono in pratiche circolari e contemporaneamente sviluppano capacità di resilienza riescono a tradurre questi investimenti in vantaggi finanziari.

L’assenza di effetto sulle performance ambientali: l’effetto rebound
Un risultato apparentemente controintuitivo riguarda l’assenza di una relazione significativa tra economia circolare e performance ambientali. Ci si aspetterebbe che le pratiche circolari, per loro natura orientate alla sostenibilità, producano benefici ambientali diretti. I dati raccolti non confermano questa aspettativa.
La spiegazione proposta dalla ricercatrice chiama in causa il cosiddetto effetto rebound: quando le imprese investono in pratiche di economia circolare a “basso R” – ovvero quelle che non comportano una completa sostituzione della materia prima vergine – si possono generare dinamiche controproducenti. L’incremento delle vendite e dei consumi associato ai prodotti “circolari” può compensare o addirittura annullare i benefici ambientali attesi, un fenomeno già documentato nella letteratura scientifica.
“Le pratiche di economia circolare, soprattutto quelle a basso R, potrebbero generare un effetto rebound che si manifesta nell’aumento delle vendite e dei consumi, con conseguenze potenzialmente negative sulle performance ambientali”
Implicazioni e sviluppi futuri
I risultati delle due indagini offrono indicazioni concrete per il management delle imprese. In primo luogo, confermano che la resilienza non si costruisce con un’unica strategia, ma richiede un approccio integrato che combini diverse capability. In secondo luogo, evidenziano come l’economia circolare possa rappresentare una leva strategica non solo per la sostenibilità, ma anche per la competitività e la capacità di fronteggiare le crisi.
Il team di ricerca sta attualmente conducendo uno studio longitudinale per verificare se, a distanza di alcuni anni, la percezione delle imprese sia mutata. L’economia circolare è un investimento di medio-lungo periodo, e le sue ricadute potrebbero manifestarsi in modo diverso nel tempo. La relatrice ha invitato i partecipanti al Forum a contribuire alla ricerca, condividendo il questionario con i supply chain manager delle proprie organizzazioni.
Come ha sottolineato in chiusura del suo intervento: “Si tratta di un’indagine che merita ulteriore approfondimento. I modelli statistici ci permettono di capire quali relazioni esistono tra i diversi fenomeni, ma il perché e il come di certe dinamiche può essere compreso solo attraverso casi studio e analisi qualitative più puntuali”.
Guarda il video completo dell’intervento:
References

Roberta Pellegrino è Professore Associato di Ingegneria Economico-Gestionale presso il Politecnico di Bari (Italia), dove insegna Risk Management e Controllo di Gestione. E’ coordinatore Erasmus per Ingegneria Gestionale. I suoi principali interessi di ricerca riguardano la gestione del rischio nelle supply chain, il partenariato pubblico-privato / Project Financing, e la teoria delle opzioni reali. È autrice o coautrice di numerose pubblicazioni su riviste e libri internazionali e nazionali, e di diversi articoli presentati a convegni internazionali.

