BlockChain: Cosa è e cosa non è

Di Bitcoin e Blockchain s’è parlato tanto, forse troppo – e forse non nel modo più opportuno. Oggi, tra apologeti e detrattori, l’hype monta pericolosamente. Quella che era, ed è tuttora, una tecnologia complessa e difficile da comprendere, si è trasformata in una moda, un brand, una parola magica facile da pronunciare e per questo sulla bocca di tutti, anche e soprattutto di chi, in realtà, ne sa poco o nulla. Perché per capire fino in fondo Bitcoin non basta essere esperti di informatica. Bisogna saperne di coding, crittografia, teoria monetaria, teoria dei giochi. Come per tutte le cose belle e difficili, è necessario un approccio multidisciplinare.

Non aver avuto una strategia per internet nel 1995 equivale a non avere una strategia per il bitcoin ora
Moe Levin, BitBay Europe

Il bitcoin è una notevole conquista crittografica e la capacità di creare qualcosa che non è duplicabile nel mondo digitale ha un valore enorme
Eric Schmidt, ex CEO di Google

Bitcoin è una sorta di TCP/IP della moneta
Paul Buchheit, creatore di Gmail

In questo momento bitcoin è un po’ come internet prima dei browser
Wences Casares, Banco Lemon

Questa carrellata di citazioni non è solo una banale scappatoia per deviare sul piano delle similitudini e delle metafore una discussione che dovrebbe essere affrontata a livello tecnico: per capire bitcoin bisogna andare sul tecnico; vero anche che un approfondimento di questo tipo può richiedere mesi, giusto per rendere un po’ l’idea.

Ha lo scopo di introdurre, proprio grazie a una metafora, un punto abbastanza centrale, che dovrebbe essere chiaro sin da subito ma su cui si continua a fare confusione:

bitcoin no, ma blockchain sì.

Non esiste blockchain senza bitcoin

«La cosa interessante sarebbe solo la underlying technology. In realtà, senza un incentivo economico non esiste consenso open/permissionless sulla blockchain. E senza necessità di creare uno scenario di consensus open/permissionless non serve a nulla blockchain. È un po’ come quando gli incumbent telco volevano l’online senza Internet. Internet è Bitcoin, online è blockchain. Non esiste blockchain senza bitcoin. Mentre, paradossalmente, è possibile far viaggiare bitcoin senza blockchain (per esempio negli Exchange).»

La blockchain è solo «un marcatore temporale», come la definisce in un suo articolo Massimo Chiriatti; è una conseguenza di bitcoin. Quindi – primo mito da sfatare – non esiste blockchain senza bitcoin. «Una blockchain pubblica non può vivere, se vogliamo garantirne la massima sicurezza, senza l’uso dei bitcoin». I bitcoin, infatti, sono diventati, a loro volta, l’incentivo economico, il movente che fa sì che ci sia qualcuno che sia disposto a vendere il proprio tempo, il proprio lavoro. Perché per mantenere in vita un sistema proof of work così complesso e per garantire tutte quelle proprietà che rendono la tecnologia bitcoin-blockchain interessante agli occhi dei più (non duplicabilità, decentralizzazione, incorruttibilità, trasparenza, etc.) non bastano la buona fede e la buona volontà: serve un’ingente forza lavoro. E in questo mondo, in questa società, il lavoro ha ancora un costo (fare mining è un’attività dispendiosa).

Blockchain private

Ora, abbiamo appena utilizzato il termine «blockchain pubblica». In realtà questa dicitura è pleonastica, perché, per sua natura, una blockchain è sempre pubblica. E qui veniamo a un secondo mito da sfatare. In realtà è uno specchietto per allodole, eppure c’è chi si ostina a parlare di blockchain private. Ecco allora cosa vi risponderebbe un vero esperto di bitcoin: «Parlare di blockchain private, vendere blockchain private (o permissioned) sarebbe come vendere acqua asciutta. Lo posso fare, ma solo se tu non sai che cos’è l’acqua. Alcune banche stanno inseguendo il sacro graal della blockchain privata, essendo attratte dalle proprietà di questa tecnologia, ma temono bitcoin perché non può essere controllato, perché non ne avrebbero il signoraggio. Ci sono allora dei consulenti spregiudicati, delle grosse compagnie di consulenza che, perfettamente consce di accentuare quest’illusione verso il sacro graal, vendono alle banche o agli enti interessati delle tecnologie che di innovativo, forse, hanno solo il nome. Di fatto però ripropongono modelli e prodotti già in commercio 30 anni fa. Il caso più lampante è quello di una società che ha commissionato a un’importante azienda di consulenza una blockchain editabile. Ora, possiamo chiamarla come più ci pare e piace, ma da che mondo è mondo, una blockchain editabile, quindi modificabile, altro non è che un banalissimo database, una tecnologia che esiste dagli anni ‘90.»

Duro a morire, perché antifragile

Bitcoin è ben lungi dall’essere morto, o, per dirla con Jon Evans, colonnista di TechCrunch, «è molto meno morto oggi di tutte le altre volte in cui ne era stata erroneamente decretata la fine». Sta vivendo una fase transitoria, di cambiamento, che come tale comporta e fa emergere tutta una serie di problematiche. Per citare le due che fanno più rumore: la disputa sulla dimensione dei blocchi e il conseguente spettro di una hard fork e la questione dell’oligarchizzazione della blockchain da parte dei miner cinesi. C’è un filo che lega queste due problematiche, che per certi aspetti si sovrappongono, legate come sono l’una all’altra, soprattutto nella misura in cui lasciano trapelare una piccola grande contraddizione interna al sistema: la necessità che, forse, dopotutto, il progetto di rete decentralizzata per antonomasia richieda «una qualche forma di governo tecnico, di guida» (di certo non i miner che, per quanto fondamentali, hanno un ruolo molto limitato e non possiedono le competenze tecniche necessarie per continuare a sviluppare il codice base di bitcoin) – Evans, nel suo articolo, vede di buon occhio l’egida politica di un organismo internazionale simile o equivalente a un IETF (Internet Engineering Task Force) o a un ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers).

Infine, bitcoin non è morto perché è duro a morire. Ed è duro a morire perché è un sistema antifragile. Prendiamola larga. Così la pensa Marco Amadori: “con bitcoin siamo di fronte a una tecnologia basata su una rete eterogenea di individui sconosciuti, potenzialmente criminali, da cui tuttavia, alla fine, emerge sempre una verità, più forte, più vera di quelle spesso illusorie o fallaci sbandierate da enti e governi centrali”. Questa è la grande innovazione della bitcoin-blockchain: una rete in cui ognuno si presenta al prossimo qualificandosi per il lavoro svolto. Un lavoro che richiede il consumo di un certo ammontare di risorse. Lavorare per il sistema è quindi nell’interesse di tutti, perché il bene di tutti coincide con il bene dei singoli e, viceversa, l’interesse dei singoli confluisce nell’interesse comune – la mano invisibile smithiana emerge sullo sfondo anche di questo scenario, un vero e proprio contesto microeconomico. “Se non altro in quanto un atto malevolo contro il sistema avrebbe in primo luogo ripercussione sull’artefice del misfatto stesso, che subirebbe immediatamente il danno maggiore: se ti comporti male come minatore, il tuo investimento milionario perde di valore perché alla fine le bollette le paghi in moneta fiat; se il tuo comportamento da minatore danneggia il mercato, il prezzo del bitcoin cala e il tuo investimento vale meno”. C’è più di una buona ragione per esser virtuosi.

In un certo senso, a livello morale, bitcoin può essere visto come una presa di coscienza che le persone non sono tutte buone. In quest’ottica, “non ha senso creare dei sistemi basati sulla benevolenza – vd. BdT, banche del tempo – in cui basta l’operato di un singolo attore negativo a minare criticamente l’incolumità dell’organizzazione. Bitcoin, da parte, sua riconosce l’avidità nell’uomo e la mette, cinicamente ma anche realisticamente, a variabile del sistema. Ma fa ancora di più: trasforma quella che inizialmente era vista come una debolezza in un punto di forza”. In un sistema governato da una logica degli incentivi (o teoria degli incentivi), l’avidità diventa il vincolo – in un’accezione ingegneristica del termine, quindi non tanto come ostacolo bensì come punto di appoggio – che rende possibile la fissazione di una verità incontrovertibile, di un valore positivo. Insomma, si tratta di un sistema in cui si ha un vantaggio economico notevole a rispettare una buona etica. Per converso, chiunque decidesse di agire in malafede con il bieco scopo di arrecare danni, andrebbe incontro a svantaggi enormi. Alla fine, paradossalmente, proprio o anche perché sono avido, sarò portato a operare per il bene comune: è ciò che più mi conviene.

Ci troviamo di fronte a una forma di contromisura inscritta al sistema, una sorta di apparato immunitario congenito che si aggiunge alle contromisure di mercato di cui parlavamo prima (se danneggi il sistema il tuo investimento non vale più niente o comunque crolla di valore). “Se mai ci fosse un’entità che volesse andare in perdita o un ipotetico stato totalitario che decidesse di investire per bloccare il sistema a prescindere da quello che gli costerebbe, quindi secondo una logica autodistruttiva, basterebbe cambiare il protocollo per espellerlo e vanificare così tutti gli sforzi e gli investimenti fatti; danneggiare il sistema costa un mucchio di soldi”.

È per questa serie di considerazioni che possiamo parlare di bitcoin come di un sistema antifragile: perché non solo resiste a un determinato tipo di attacco, ma una volta subitolo, diventa immune a quell’attacco, a quel danno, a quell’urto, a quello shock. “È un sistema antifragile in quanto è costituito da sottosistemi fragili che possono essere sostituiti. Per esempio, se il valore dei bitcoin dovesse crollare, alcuni minatori andrebbero fuori mercato. Quali? In primis quelli che agivano per motivi speculativi”. Insomma, dai una botta al mercato e, quasi per magia, ti ritrovi un sistema epurato dei suoi individui “peggiori”.

Paradossalmente, un sistema antifragile è forte proprio perché le singole componenti di cui è costituito sono deboli. Essendo l’antifragilità una caratteristica degli organismi biologici, bitcoin può essere visto come un organismo vivo, una forma di vita “intelligente”, tutt’altro che morta.

Un sistema di calcolo distribuito

Il fatto che la blockchain basi il proprio funzionamento sulla sua auto-distribuzione tra tutti i nodi della rete può portare a credere che si tratti di un sistema di calcolo distribuito altamente efficace ed efficiente. In realtà, si tratta esattamente dell’opposto. Per ragioni di sicurezza, la blockchain viene interamente distribuita tra tutti i nodi che hanno partecipato, in un modo o nell’altro, alla sua formazione. Ciò vuol dire, però, che tutti i computer della stessa catena di blocchi replicano le stesse, medesime, operazioni. Non appena si aggiunge un nuovo blocco, tanto per fare un esempio, tutti i nodi verificano le stesse transazioni basandosi sulle stesse regole. Si capisce immediatamente che si tratta di un sistema tanto sicuro, quanto inefficiente: la stessa operazione viene ripetuta, istantaneamente, milioni o miliardi di volte, a seconda di quanti nodi compongano la chain.

Non ha fine e registra tutte le modifiche e cambiamenti

Questo mito potrebbe essere considerato vero se vivessimo in un mondo ideale nel quale non ci fosse penuria di gigabyte, terabyte e petabyte nei quali archiviare ogni cosa che ci passa sotto mano. Al crescere delle transazioni e delle loro registrazioni all’interno dei blocchi della catena, infatti, la blockchain aumenta di dimensioni in maniera esponenziale. Si prenda ad esempio quella dei Bitcoin: al crescere del loro successo (e all’aumentare degli scambi valutari), la blockchain è arrivata a superare i 200 gigabyte di grandezza (si tratta di spazio effettivamente occupato sul disco rigido dei computer che generano Bitcoin). Ciò ha fatto nascere un grande dibattito in seno alla community e alla seguente divisione in due della catena: chi ha deciso di optare per la nuova blockchain non ha conservato nulla di quanto registrato in passato.

E’ facilmente sostenibile dal sistema

Anche se potrebbe essere facile credere al contrario, la blockchain non è nata in funzione dei Bitcoin, ma è l’unione di vari pezzi e tecnologie informatiche già esistenti in precedenza (e messe insieme dal misterioso Satoshi Nakamoto). Così, la rete Bitcoin è in grado di processare solo 7 transazioni al secondo, successivamente registrate in blocco all’interno della blockchain ogni 10 minuti. Insomma, un sistema piuttosto lento, visto il numero di persone che utilizza la criptovaluta sia come forma di investimento sia come forma di pagamento online. Queste limitazioni impediscono alla rete Bitcoin di crescere di pari passo al suo successo e pongono un forte limite alla sua espansione.

Garantisce la sicurezza delle transazioni e operazioni che registra

La distribuzione dell’intera blockchain tra tutti i nodi della catena è, come detto, una sorta di assicurazione sulla veridicità delle varie transazioni scritte all’interno dei blocchi. Prima che un nuovo blocco possa essere inserito nella chain, infatti, è necessario che tutti gli altri lo analizzino e lo “certifichino” basandosi su regole e standard molto stringenti. Questo è vero, però, sino a quando la blockchain è sufficientemente “frammentata” e distribuita: nel caso in cui un solo utente (o un gruppo di essi) riuscisse a controllare il 51% della potenza di calcolo utilizzata per creare Bitcoin, potrebbe anche essere in grado di mettere a segno un majority attack e trascrivere un blocco contenente informazioni false. Insomma, la blockchain è sicura fino a quando è controllata da una moltitudine di persone.

Decentralizzata e non ha “controllori” di sorta

Allo stesso tempo, la distribuzione “paritaria” della blockchain tra tutti gli utenti porta immediatamente a pensare a una sua gestione decentralizzata e, per alcuni versi, “democratica”. La realtà, però, è altra: è facile comprendere, però, che l’unione fa la forza e “federazioni” di più miner consentono di guadagnare di più e più in fretta rispetto a un’attività di mining condotta in solitaria. Ciò ha portato alla formazione di cartelli di miner arrivati a controllare ognuno fino al 15-16% della potenza di calcolo totale impiegata nelle attività di creazione Bitcoin. Stando ai dati più aggiornati, i quattro maggiori pool di mining controllano oltre il 50% della potenza di calcolo, mentre l’80% è nelle mani di utenti provenienti da un’unica nazione: la Cina.

Garantisce l’anonimato

Dal momento che ognuno dei partecipanti alla catena ha accesso e controllo (teorico, vista la molte imponente) a tutti i blocchi che la compongono, è del tutto errato dire che la blockchain (e, di conseguenza, in Bitcoin) garantisce il completo anonimato degli utenti. Invece, si dovrebbe parlare di pseudonimia. Ciò implica che se un utente dovesse riuscire a conoscere il nostro pseudonimo – perché, ad esempio, abbiamo scambiato valuta con lui – potrebbe, da un punto di vista teorico, riuscire a risalire a tutte le nostre transazioni e avere accesso allo stato delle nostre finanze (in criptovaluta, ovviamente). Insomma, non il massimo dell’anonimato e della privacy.

Un gigantesco computer distribuito

“La blockchain potrebbe essere un rasoio di Occam, il modo più efficiente, diretto e naturale per coordinare tutte le attività umane e meccaniche; è un processo dalla efficienza naturale “.

Se non sapete quali siano i principi del funzionamento di blockchain e avete solo sentito opinioni su questa tecnologia, allora potreste avere l’impressione che la blockchain sia una sorta di computer distribuito, che esegue calcoli distribuiti. Potreste supporre che i nodi in tutto il mondo raccolgano qualcosa di più grande poco alla volta.

Questo è totalmente errato. Infatti, tutti i nodi che sorreggono la blockchain fanno esattamente lo stesso. Ecco cosa fanno milioni di computer:

  1. Verificano le stesse transazioni in conformità alle stesse regole ed eseguono identiche operazioni;
  2. Registrano le stesse informazioni all’interno di una blockchain, se sono stati così fortunati da avere avuto il permesso per farlo;
  3. Memorizzano l’intera cronologia, che è la stessa per tutti, per tutto il tempo.

Non c’è parallelismo, nessuna sinergia e nessuna assistenza reciproca. Ci sono solo duplicazioni istantanee, per milioni di volte. È l’opposto dell’efficienza e questo è importante, come vedremo in seguito.

E’ eterna. Tutto ciò che viene registrato rimarrà lì per sempre

“Con Dapps, DAOs, DACs e DASs, ci potrebbero essere molti nuovi tipi comportamenti interessanti e complessi di Intelligenza Artificiale”.

Dunque: ogni client superiore di rete di Bitcoin memorizza l’intera cronologia delle transazioni e questo registro ha già raggiunto la grandezza di 200GB. È la capacità d’immagazzinamento di un portatile economico o di uno smartphone più avanzato. Più transazioni vengono elaborate sulla rete Bitcoin, più velocemente cresce il suo volume. E il suo maggiore aumento è avvenuto negli ultimi due anni.

La crescita della blockchain di Bitcoin non è nemmeno la più veloce; la rete del rivale Ethereum ha accumulato nel blochchain 200 GB di cronologia di dati, in soli due anni dal suo lancio e in sei mesi di utilizzo attivo. Quindi, la durata della vita della blockchain è limitata ad un decennio in circostanze attuali. La crescita della capacità degli hard disk è decisamente indietro.

Oltre alla necessità di memorizzare un grande quantitativo di dati, questi devono essere anche scaricati. Chiunque abbia mai cercato di utilizzare un portafoglio per la criptovaluta memorizzato localmente, ha scoperto con stupore e sgomento di non poter eseguire o ricevere pagamenti finché l’intero processo di download e verifica non sia stato completato, in pochi giorni se siete fortunati.

Potreste chiedervi: se è sempre la stessa cosa, forse non dovremmo memorizzare il tutto su ogni nodo di rete? Certo, sarebbe più efficiente. Ma, prima di tutto, non sarebbe una blockchain peer-to-peer, ma piuttosto un’architettura client-server tradizionale. In secondo luogo, i client dovrebbero quindi fidarsi dei server. Ricordate, “mai fidarsi di nessuno” è uno dei fondamenti della blockchain.

Per molto tempo, gli utenti di Bitcoin si sono divisi tra entusiasti, che “soffrono” scaricando tutto e memorizzando l’intera blockchain sul proprio computer, e le persone comuni, che usano i portafogli online, hanno fiducia nel server e non gli importa di come funzioni il tutto.

Efficace e in costante crescita. Il denaro convenzionale presto scomparirà

“Il concetto è ‘tecnologia blockchain + connettoma personale in vivo’ per codificare e rendere utile in un formato dati compresso standardizzato tutto il pensiero di una persona. I dati potrebbero essere catturati tramite registrazioni intracorticali, EEG dei consumatori, interfacce cervello/computer, nanorobot cognitivi e altre metodologie. Quindi, il pensiero potrebbe essere rappresentato in una blockchain, e davvero anche tutta l’esperienza soggettiva di un individuo potrebbe esserlo, compresa (anche) la coscienza, soprattutto se è più precisamente definita. Una volta nella blockchain, i diversi componenti potrebbero essere gestiti e trattati. Ad esempio, questo potrebbe essere fatto nel caso di ripristino della memoria post-ictus”.

Se ogni nodo di rete fa la stessa cosa, ovviamente, la larghezza di banda dell’intera rete è la stessa della larghezza di banda di un nodo di rete. Ma sapete esattamente che cosa è? La rete Bitcoin è in grado di processare un massimo di sette transazioni al secondo, per milioni di utenti in tutto il mondo.

Oltre a questo, le transazioni Bitcoin-blockchain vengono registrate solo una volta ogni 10 minuti. Per aumentare la sicurezza dei pagamenti, è una pratica standard quella di attendere 50 minuti in più dopo che viene visualizzato un nuovo registro affinché si possa ricominciare. Immaginate adesso di provare a comprare uno snack usando Bitcoin. Non è un problema stare in fila per un’ora al negozio, giusto?

Se si considera il mondo intero tutto ciò sembra ridicolo, anche adesso che i Bitcoin sono utilizzati da una sola persona ogni mille sul pianeta. E data la velocità di elaborazione delle transazioni, aumentare significativamente il numero di utenti attivi è semplicemente impossibile. Per fare un confronto, Visa processa migliaia di operazioni al secondo e, se necessario, può facilmente aumentare la sua larghezza di banda. Dopo tutto, le tecnologie bancarie classiche possono espandersi.

Se il denaro convenzionale scompare, non sarà a causa delle soluzioni blockchain.

I miner garantiscono la sicurezza di rete

“Le entità imprenditoriali autonome basate su cloud e blockchain gestite con Smart contract potrebbero quindi trattare elettronicamente con entità tradizionali come i governi per auto-registrarsi in qualsiasi giurisdizione in cui volessero operare.”

Avete sicuramente sentito parlare dei miner e di giganti fattorie di mining costruite accanto alle centrali elettriche. Che cosa fanno esattamente? Consumano moltissima energia elettrica senza nessuno scopo per 10 minuti, “agitando” i blocchi fino a farli diventare “belli” e quindi idonei per essere aggiunti a una blockchain. In sostanza, l’obiettivo è assicurarsi che la riscrittura della cronologia delle transazioni richieda la stessa quantità di tempo impiegato per scrivere la cronologia originale (data la stessa potenza di calcolo complessiva).

L’energia elettrica consumata per raggiungere questo obiettivo è la stessa quantità che userebbe una città con una popolazione di 100.000 persone. E non dimenticate le costose attrezzature mining personalizzate, che sono quasi inutili per qualsiasi scopo diverso da quello del mining di Bitcoin.

Agli ottimisti della blockchain piace affermare che i miner non eseguono solo operazioni inutili, ma garantiscono la stabilità e la sicurezza della rete Bitcoin. Questo è vero, ma il problema è che i miner proteggono i Bitcoin da altri miner.

Se fosse esistito solo un millesimo del numero attuale di miner, e quindi fosse stata consumata una millesima parte della potenza elettrica, il sistema Bitcoin funzionerebbe proprio come adesso. Continuerebbe a produrre un blocco ogni 10 minuti, elaborerebbe lo stesso numero di transazioni e opererebbe esattamente alla stessa velocità.

Il rischio di un attacco del 51% riguarda anche le soluzioni blockchain. Se qualcuno controlla più della metà della potenza di calcolo attualmente utilizzata per l’attività mining, allora quella persona può furtivamente scrivere una cronologia finanziaria alternativa. Quella versione allora diventerebbe realtà. Così, sarebbe possibile spendere gli stessi soldi più di una volta. I sistemi di pagamento tradizionali sono immuni a un tale attacco.

Come si è rivelato, Bitcoin è diventato un prigioniero della sua stessa idea di base. I miner “eccessivi” non possono smettere la loro attività di mining; questo aumenterebbe drasticamente la probabilità che una singola persona controlli più della metà della potenza di calcolo restante. Il mining è ancora redditizio, e la rete è ancora stabile. Tuttavia, se la situazione cambia (se, ad esempio, il prezzo dell’energia elettrica aumenta), la rete potrebbe andare incontro a un enorme numero di incidenti di “doppia spesa”.

Decentralizzata, quindi è indistruttibile

“Per diventare più formalmente un’organizzazione, un Dapp potrebbe adottare funzionalità più complicate come una costituzione …”

Potrebbe sembrare che se una blockchain è memorizzato su ciascun nodo di rete, allora i servizi o le autorità speciali non possono arrestare Bitcoin per un capriccio, poiché non esiste un server centralizzato o qualcosa di simile e non c’è nessuno a cui rivolgersi se si volesse chiudere tutto. Questa è solo un’illusione, comunque.

In realtà, tutti i miner “indipendenti” sono fusi in pool (tecnicamente, sono dei cartelli). Si basano sul presupposto che sia meglio avere un reddito piccolo ma stabile piuttosto che un enorme guadagno forse ogni mille anni (e anche questo non è garantito se si è per conto proprio).

Il diagramma circolare sopra riportato mostra circa 20 dei più grandi pool di mining , ma i primi 4 controllano più del 50% di tutta la potenza di calcolo. Ottenere accesso a questi soli quattro computer di controllo darebbe la possibilità di raddoppiare i propri Bitcoin. Questo, come si può immaginare, svaluterebbe alquanto i Bitcoin, e farlo è in realtà abbastanza possibile.

Ma la minaccia è ancora più grave rispetto a quanto detto sopra potrebbe far sottintendere, perché la maggior parte dei pool, insieme alle loro potenze di calcolo, si trovano all’interno di un paese, il che rende molto più facile catturarli e ottenere il controllo sui Bitcoin.

Il carattere anonimo e aperto è una buona cosa

“Il governo tradizionale 1.0 sta diventando obsoleto come modello di governance nell’era della blockchain, specialmente ora che iniziamo a vedere la possibilità di passare da strutture paternalistiche e uguali per tutti a una forma di governo più granulare e personalizzata.”

La blockchain è aperta e tutti vedono tutto. Perciò, la blockchain non ha un anonimato reale. Offre invece pseudonimia. Mettendo da parte i problemi significativi per gli utenti disonesti, ecco perché la pseudonimia è dannosa per quelli onesti. Un esempio semplice: trasferisco alcuni Bitcoin a mia madre. Ecco cosa lei è in grado di sapere:

  1. Quanti soldi ho in qualsiasi momento.
  2. Quanto ho speso e, più importante, per cosa ho speso. Potrebbe anche scoprire cosa ho comprato, su cosa ho scommesso e quale politico ho sostenuto in forma “anonima”.

In alternativa, se avessi ripagato un mio amico per qualche limonata, gli avrei permesso di sapere tutto sulle mie finanze. Questo non è un problema del tutto irrilevante: rivelereste i movimenti della vostra carta di credito a chiunque voi conosciate? Tenete presente che ciò includerebbe transazioni non solo passate, ma anche future.

Alcune rivelazioni potrebbero essere tollerabili per la gente comune ma letali per le aziende. Tutte le parti contraenti, le vendite, i clienti, le cifre presenti in un conto e tanti altri piccoli e minuscoli dettagli diventerebbero pubblici. La trasparenza finanziaria è forse uno dei maggiori svantaggi dell’utilizzo di Bitcoin.

Conclusione

“Il mondo connesso potrebbe includere in modo vantaggioso la tecnologia blockchain come copertura economica per ciò che sempre di più sta diventando un mondo continuamente connesso grazie ai multidispositivi quali computer indossabili, sensori per l’Internet delle Cose, etc.”

Ho elencato i sei svantaggi principali dei Bitcoin e della versione blockchain in uso. Potreste chiedervi: “Perché ho dovuto saperlo da te e non l’ho saputo prima da qualcun altro?

Possibile che nessuno veda i problemi?

Alcune persone potrebbero essere cieche, alcune semplicemente non capire come funzioni la tecnologia, e altri potrebbero vedere e comprendere tutto, ma il sistema va bene per loro così com’è. Vale la pena considerare che molti di quelli che hanno acquistato Bitcoin hanno iniziato a pubblicizzarli e promuoverli, come in uno schema piramidale.

Perché rivelare che la tecnologia ha alcuni svantaggi se contate sulla crescita del tasso di cambio?

Sì, il sistema Bitcoin ha rivali che hanno cercato di risolvere alcuni di questi problemi. Anche se alcune di queste idee sono abbastanza buone, esse sono ancora basate sulla blockchain. E sì, ci sono altre applicazioni non monetarie alternative alla tecnologia blockchain, ma i principali svantaggi si trovano anche in esse.

Quindi, se qualcuno vi dice che l’invenzione della blockchain può essere paragonata all’invenzione di Internet in termini di importanza, siate scettici.

Referenze

Lorenzo De Giuli, Alexey Malanov, Fasteweb digital magazine, Moe Levin, Eric Schmidt,Paul Buchheit, Banco Lemon, Massimo Chiriatti,Jon Evans

A cura di: Michele Russo

Profilo Autore

Un’esperienza di oltre 20 anni nel settore IT, nello sviluppo e nella gestione di soluzioni Enterprise per alcune tra le maggiori istituzioni finanziarie italiane e su progetti di integrazione di soluzioni informative multi tenant ad alto impatto tecnologico.
Ho un background aziendale eterogeneo con particolari competenze nella gestione e nel controllo del ciclo di vita dei progetti nonché nell’applicazione della metodologia di Enterprise Architecture.
Attualmente ricopro il ruolo di Customer Success Account Director presso Microsoft.

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