Dall’«internet of things» all’«internet of thoughts»

La dimensione socio-culturale della cybersecurity

Lo sviluppo dell’ambiente cyber si articola attraverso nuovi scenari digitali caratterizzati dalla diffusione ed espansione orizzontale di metodologie e tecniche di social engineering sempre più sofisticate ed integrate, anche attraverso il rilascio e la condivisione di applicazioni tecnologicamente persuasive, grazie a cui si riscontrano, sotto il profilo dell’attacco cyber, significative caratterizzazioni in termini di matrici comportamentali e creatività operativa.

Si ridefiniscono ineluttabilmente i concetti di conoscenza e gestione dell’informazione, ormai quasi completamente digitalizzata, con ricadute significative sul piano della sicurezza. Nell’odierno scenario cyber si evidenzia un nuovo concetto multidimensionale di sicurezza derivato dalla compenetrazione dei paradigmi del mutamento sociale e della convergenza digi-mediale entrambi intesi tra l’altro come moltiplicatori di istanze provenienti in particolare dal basso; da un “basso” che diviene sempre più reticolare, competente e coeso, sotto il profilo digitale, sino a divenire esso stesso “cartilagine” dell’esoscheletro di sistema non solo in termini infrastrutturali, ma soprattutto culturali-identitari.

L’open society, il right-to-know e l’infosharing digitale divengono i pilastri delle architetture democratiche contemporanee. Occorre esplorare in modo approfonditamente e scientificamente orientato il cyberspace, da intendere non più come alterità ma definitivamente come human space, ove ad esempio individuare ed analizzare dinamicamente, con rigore scientifico e rifuggendo da qualsivoglia sempli ficazione riduzionistica dettata dalle mode del momento, le specificità e le differenze socio-culturali tra attivismo ed hacktivismo nel processo di transizione verso modelli compiutamente digitali di politica e diplomazia.

Ciò al fine di poter formulare risposte ad importanti quesiti che consentano – di nuovo a titolo d’esempio – di comprendere la dimensione culturale dell’ormai preclaro Bitcoin che non deve essere considerato mera moneta virtuale, ma come uno strumento, un prodotto, una modalità di autocostruzione e disseminazione identitariamente rappresentativa delle communities di scambio digitale.

Così come appare evidente la rilevanza della ricerca volta all’individuazione del dual-use, del valore strategico-militare, della medesima moneta come avanzato strumento di guerre économique.

In tal senso, risulta imprescindibile orientare la ricerca operativa nell’elaborazione ed anticipazione di scenari, non più futuribili e neanche ad oggi troppo futuri, in cui immaginare l’impatto, le dinamiche attoriali, le determinanti funzionali – come ulteriore esempio – dell’utilizzo organizzato di modalità aggressive Ddos/attacchi botnet come modalità autolegittimata di (cyber-)protesta ovvero come una rivisitazione, in ambiente cyber, dei sit-in di protesta che hanno animato buona parte del XX secolo e che hanno determinato spesso la paralisi non solo della viabilità, ma delle funzionalità vitali stesse di importanti capitali.

Nell’ignoto viaggio che conduce l’umanità verso la post-globalizzazione, fortemente contraddistinto da alcune evidenze tra cui: i conflitti derivanti dalle frizioni tra lo sviluppo dell’ambiente istituzionale metropolitano e le dinamiche organizzative delle communities digitali transnazionali, l’avvento di nuove identità sessuali-digitali che si affermeranno come controculture di genere in conflitto con la massiva proiezione digimediale di due grandi religioni monoteiste quali il Cristianesimo e l’Islam, nonché la ridefinizione del concetto stesso di devianza (digitalizzata) in relazione a quello di conformità nell’ambito di ciò che solo qualche anno fa eravamo intenti a definire rigidamente, quasi eugeneticamente, mondo “reale”.

L’ascesa dell’asimmetria digitale o “neo-asimmetria” deve essere considerata sin da ora come l’elemento focale delle nuove entità criminali pronte ad auto-determinarsi e proiettare a tutto tondo i propri interessi nella vita quotidiana del cittadino globalizzato del XXI secolo.

Si assiste alla progressiva emersione di entità criminali di tipo organizzato e globalizzato, soprattutto a livello digimediale, nate dalle necessità di evoluzione attraverso il web, di preesistenti strutture locali ed internazionalizzate, e/o da lunghi processi di “ibridazione criminale” che si sono determinati prevalentemente secondo logiche di adattamento al mutamento dei singoli mercati illeciti ormai di carattere transcontinentale e, quantomeno comunicativamente, connessi attraverso il web. Ciò implica, sotto il profilo istituzionale, in ordine alle esigenze di sicurezza ed in termini di prevenzione e contrasto soprattutto dei fenomeni criminali emergenti, un resetting delle mission operative che si fondi sulla piena integrazione, tra scienze sociali e tecnologie computazionali, orientata all’elaborazione di strategie qualitative e quantitative volte a fornire gli strumenti indispensabili, prima di tutto alla conoscenza, quindi alla profonda comprensione della complessità criminale organizzata, oggi digitalizzata.

L’onnipresente interconnessione infrastrutturale digitale e la routinaria fruizione dei relativi servizi, spesso essenziali, ma comunque ormai ritenuti indispensabili sul piano delle odierne prassi culturali, rende lo stesso concetto di cybercrime ormai semanticamente inefficace a descrivere i soli reati, ed in senso più ampio, i modi operandi criminali aventi quale elemento di caratterizzazione la risorsa informatica, sia essa strumento, target o attore stesso.

La triangolazione concettuale-funzionale di Big Data, Web Intelligence ed Information Assurance, risulta essere oggi il passepartout per poter gestire la complessità e la centralità della dimensione informativa, non più mera sovrastruttura, ma essenza regolatrice di ogni aspetto della vita, in un “dematerialismo” storico che si accinge a spalancare le porte dell’iperconnesso e digitecnologizzato “Internet of Things” in cui si ritiene non debba essere assolutamente dimenticata e/o collocata in secondo piano, la coesistenza di un più intimo, profondo, celato e talvolta oscuro “Internet of Thoughts” su cui porre con competenza la costante attenzione analitica. Ciò evidenziando che oggi il cyber non possa più essere considerato come un oggetto esterno all’uomo, ma attinente pervasivamente ad esso; pertanto, nel considerare fermamente la sicurezza come un processo dinamico e non un prodotto statico, appare evidente come non sia possibile garantire la sicurezza del cittadino globalizzato, in relazione al rapporto libertà/democrazia, senza l’utilizzo di idonei strumenti concettuali per comprendere e gestire la complessità che, ancor prima che tecnologica, risulta essere indiscutibilmente umana, culturale e sociale.

A cura di Arije Antinori PhD Coordinatore CRI.ME LAB “SAPIENZA” Università di Roma Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale

BREVE NOTA BIOGRAFICA SULL’AUTORE

Criminologo, Sociologo della Devianza, Dottore di Ricerca in Criminologia applicata alle Investigazioni ed alla Sicurezza, Dottorando di Ricerca in Scienze della Comunicazione, Master di II Livello in Teorie e Metodi nell’Investigazione Criminale, Analista Geopolitico, OSINT Analyst, Senior Expert for Organized Crime (EC).

Articolo pubblicato sulla rivista ICT Security – Maggio 2014

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